IL VANGELO DEL GIORNO: https://www.iosonolalucedelmondo.it/indice-anno-liturgico-2022/
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TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 6,60-69)

In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?».
Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dov'era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono».
Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».
Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Non è facile credere nel nostro mondo d'oggi.
La verità che ci è rivelata da Dio in Gesù Cristo, agli uomini e alle donne del nostro tempo appare spesso un "discorso insostenibile", a cui non si può chiedere a nessuno dei nostri sapienti contemporanei di credere. Così è, per esempio, per la dottrina della presenza reale del corpo e del sangue del Signore nella santa Eucaristia. Essa sembra essere una sfida al buon senso, alla ragione, alla scienza. Noi diciamo: "Vedere per credere", esattamente quello che disse san Tommaso: "Se non vedo... e non metto la mia mano, non crederò". Gesù ci ricorda che il corpo di cui parla è il suo corpo risorto e salito al cielo, liberatosi, nella risurrezione, dai limiti dello spazio e del tempo, riempito e trasformato dallo Spirito Santo. Questo corpo non è meno reale del suo corpo in carne ed ossa, anzi lo è di più. Questo corpo risorto può essere toccato e afferrato personalmente da ogni uomo e donna di ogni tempo e luogo, perché lo Spirito si estende, potente, da un'estremità all'altra.
In Gesù Cristo e tramite Gesù Cristo, credere significa vedere e toccare: un modo di vedere più profondo, più vero e più sicuro di quello degli occhi; un modo di toccare più in profondità e un modo di afferrare con una stretta più salda di quanto si possa fare con le mani. Credere significa vedere la realtà al di là del visibile; significa toccare la verità eterna.
In questa fede e grazie ad essa, possiamo dire con Pietro; "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna".

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 23,13-22)

In quel tempo, Gesù parlò dicendo:
«Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare.
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo prosèlito e, quando lo è divenuto, lo rendete degno della Geènna due volte più di voi.
Guai a voi, guide cieche, che dite: "Se uno giura per il tempio, non conta nulla; se invece uno giura per l'oro del tempio, resta obbligato". Stolti e ciechi! Che cosa è più grande: l'oro o il tempio che rende sacro l'oro? E dite ancora: "Se uno giura per l'altare, non conta nulla; se invece uno giura per l'offerta che vi sta sopra, resta obbligato". Ciechi! Che cosa è più grande: l'offerta o l'altare che rende sacra l'offerta? Ebbene, chi giura per l'altare, giura per l'altare e per quanto vi sta sopra; e chi giura per il tempio, giura per il tempio e per Colui che lo abita. E chi giura per il cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che vi è assiso». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Dopo averci ricordato che molti nel mondo "dicono e non fanno", a cominciare dai cristiani che trascurano il Vangelo, oggi Gesù ammonisce le guide cieche. È un paradosso sostenere la cecità di una guida, infatti è guida se vede bene, se è in grado di condurre sulla via sicura e migliore quelli che non vedono.
Nell'aspetto spirituale la guida può essere cieca perché gli occhi fisici non sono necessari, lo stesso riesce a indicare le vie dello spirito secondo il Vangelo, per evitare i pericoli e seguire il cammino della santificazione.
Gesù parla di guide cieche, il riferimento diretto riguardava i dottori e i sacerdoti del Tempio, che ostentavano anche il nulla che avevano.
Il vuoto interiore è così ingombrante da non lasciare spazio a nessuna cosa buona…

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 23,23.26)

In quel tempo, Gesù parlò dicendo: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima sulla menta, sull'aneto e sul cumino, e trasgredite le prescrizioni più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste invece erano le cose da fare, senza tralasciare quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l'esterno del bicchiere e del piatto, ma all'interno sono pieni di avidità e d'intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l'interno del bicchiere, perché anche l'esterno diventi pulito!». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Queste erano le cose da fare, senza tralasciare quelle.
Il richiamo che fa Gesù è sempre attuale, oggi lo è di più considerando i tempi moderni. Il significato del suo discorso è molto semplice: ci invita a preoccuparci, quindi a riordinare la vita interiore piuttosto che curare fintamente l'immagine esteriore.
La dignità della persona si evidenzia dagli atti esteriori, ma questo vale per quanto vedono o ascoltano gli estranei mentre la persona deve coltivare il suo decoro partendo da se stessa, dalla vita interiore. Quindi, è importante quanto si manifesta esteriormente ma è ancora più essenziale ciò che la persona effettivamente è interiormente.
Se interiormente la persona è retta lo manifesta anche all'esterno, se invece non cura la vita spirituale evidenzia comportamenti incoerenti. È questo che condanna Gesù a scribi e farisei: "Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l'esterno del bicchiere e del piatto, ma all'interno sono pieni di avidità e d'intemperanza".
L'invito che oggi ci propone Gesù è l'impegno interiore a ripulire l'anima dalle miserie umane, dalle debolezze che si possono superare con la rinuncia, un impegno costante nel controllo dei pensieri e delle parole che si pronunciano.
La persona debole, anche se prega ogni giorno ma non controlla i suoi pensieri se sono onesti e sinceri, non controlla le parole che dice ai familiari e ad ogni persona con cui si relaziona, cade inevitabilmente nei peccati. Ripeterà sempre gli stessi errori.
C'è chi si rialza con la Confessione e si propone una vita migliore, e questo è facile, mentre altri non fanno più caso alla vita dissipata che conducono. Significa sperperare i doni di Dio, non curarsi dell'anima e delle conseguenze tutte negative che scaturiscono da essa.
L'anima dissipata è un danno enorme, ricerca sempre i piaceri del mondo, non riflette sulle conseguenze disastrose.
Poi i genitori scoprono i figli drogati o i figli si accorgono di non avere avuto genitori religiosi, dediti alle cose di Dio.
All'interno di una famiglia dovrebbe circolare l'Amore di Dio, che porta la vera gioia e la pace tra i familiari, mentre oggi assistiamo a contrasti e lotte familiari per cose di poco conto, fino ad arrivare sempre più spesso, ad omicidi assurdi. È l'orgoglio che acceca la mente e confonde, eliminando il rispetto tra i coniugi e tra genitori e figli e viceversa.
Se i genitori non danno il buon esempio, i giovani che scoprono la delusione della vita futile, si sentono autorizzati a ripetere: "Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!". Questo monito vale soprattutto per i Sacerdoti, è valido per ogni formatore di ogni ambiente sociale, anche nel mondo ateo. Perché i professori atei invece di ripetere come litanie le accuse contro Dio e la Chiesa, dovrebbero mostrare agli studenti come deve vivere una persona perbene. Essi dovrebbero mostrare esempi edificanti di verità, onestà, amicizia, giustizia, bontà.
Le parole del Vangelo ci dicono che dobbiamo essere sempre giusti, vivere la giustizia verso il prossimo è ben di più che il semplice non recargli danno, e non è sufficiente, per adempierla, lamentarsi di fronte a situazioni di ingiustizia.
I lamenti sarebbero sterili se non si traducessero in preghiere e opere per porre rimedio all'indifferenza verso i nuovi poveri.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 23,27-32)

In quel tempo, Gesù parlò dicendo: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: all'esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume. Così anche voi: all'esterno apparite giusti davanti alla gente, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità.
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che costruite le tombe dei profeti e adornate i sepolcri dei giusti, e dite: "Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non saremmo stati loro complici nel versare il sangue dei profeti". Così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli di chi uccise i profeti. Ebbene, voi colmate la misura dei vostri padri». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Le letture bibliche ci offrono un contrasto continuo tra la descrizione dello spirito farisaico, nel Vangelo, e quella del ministero apostolico nella prima lettera ai Tessalonicesi.
Gesù denunzia con vigore estremo le tendenze farisaiche; Paolo ricorda ai Tessalonicesi il suo comportamento di Apostolo di Cristo.
Poiché Gesù si rivolgeva agli scribi e ai farisei, ebrei, spontaneamente non prendiamo per noi quanto egli dice in proposito, invece dovremmo essere attenti a considerare rivolti anche a noi questi ammonimenti severi, perché, se si trovano nel Vangelo, vuoi dire che sono scritti per la nostra edificazione. Non possiamo pretendere di non avere in noi le tendenze farisaiche; siamo sempre tentati di cercare la nostra soddisfazione, di cercare di essere stimati, onorati; siamo sempre tentati di rimanere superficiali in ciò che facciamo per il Signore, di accontentarci di cose esterne, e non andiamo volentieri dentro di noi, perché ciò richiede uno sforzo penoso.
Quando Gesù rimprovera agli scribi e ai farisei di preoccuparsi soltanto dell'esterno, senza cercare la santità interiore, dobbiamo prenderlo per noi, altrimenti cadiamo esattamente nel difetto farisaico, dicendo: "Queste cose valgono per gli altri, non per noi!".
L'Apostolo Paolo ci mostra come deve essere profondo l'impegno cristiano. E una vita condotta davanti a Dio nella giustizia, nella santità. "Dio stesso è testimone", dice Paolo, "come è stato santo, giusto, irreprensibile il nostro comportamento verso di voi credenti". Paolo sta davanti a Dio così, in questo sforzo di corrispondere pienamente, profondamente, alla esigenza di Dio, che è nello stesso tempo un dono divino.
E in questo brano parla del suo amore paterno per i fedeli. E' interessante vedere come, nella stessa lettera, egli esprime prima un amore materno, oblativo, pronto a sacrificare la propria vita per il bene dei figli e poi un amore paterno, che trova la sua caratteristica nell'ambizione paterna. L'amore materno è oblativo; l'amore paterno è ambizioso, cioè vuole che i figli diventino persone veramente mature, con grandi qualità e con grandi attuazioni. Paolo, come fa un padre per i figli, dice: "Abbiamo esortato ciascuno di voi". Non si è accontentato di una predica generica, di discorsi fatti davanti a tutta la comunità; ha esortato ciascuno dei Tessalonicesi, si è preoccupato del caso singolo, ha incoraggiato ciascuno e, quando era utile, ha anche "scongiurato".
Ciò che Paolo desidera è che i suoi cristiani si comportino in maniera degna "di quel Dio che vi chiama al suo regno e alla sua gloria", dice. E possiamo osservare che Paolo è preoccupato del rapporto di ciascuno con Dio. Spesso i genitori hanno come ideale di ottenere che i figli si comportino in maniera conforme a un certo codice di vita sociale, le cosiddette "buone maniere". Paolo non si preoccupa di un codice di condotta, ma di una condotta che sia degna di Dio, che permetta una relazione profonda di ciascuno con Dio, un Dio generoso: "Dio vi chiama al suo regno e alla sua gloria", un Dio ambizioso, che ha per noi progetti molto alti: "Il suo regno, la sua gloria", non è roba da poco. E l'Apostolo, consapevole di questa vocazione cristiana, non risparmia nessuno sforzo per condurre i suoi fedeli in questa via: comportarsi in maniera degna di Dio. È un'ambizione paterna profonda e altissima, che manifesta tutta la forza della carità divina.
San Paolo sapeva di avere a disposizione la forza della parola di Dio per ottenere questa trasformazione, e lo dice. I Tessalonicesi hanno accolto la parola di Dio, "che opera in voi che credete". Paolo non pretende che siano i suoi sforzi a ottenere la trasformazione dei cristiani, ma sa che trasmettendo la parola di Dio mette in loro una potenza che opera queste meraviglie.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 6,17-29)

In quel tempo, Erode aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l'aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell'ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.
Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell'esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto.
E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Giovanni è l'unico santo, insieme a Maria di Nazareth, di cui festeggiamo l'inizio e la fine della vita. E la sua è stata una fine orribile, spietata, simile alle tante morti cui assistiamo ancora oggi. Uomini e donne vittime del potere e della guerra, dell'ideologia, degli interessi economici. Dall'ormai dimenticata tragedia siriana ai massacri religiosi in Africa centrale: migliaia di innocenti sono straziati a causa delle guerre e della violenza che alberga nel cuore dell'uomo. Violenza rabbiosa di una donna, Erodiade, che decide in cuor suo di far tacere quel profeta irriverente che non nasconde la verità lampante: è una astuta concubina che passa dal letto di un re ad un altro. Violenza tutta patologica di sua figlia che, in simbiosi con la madre, si rende artefice e complice di un atroce omicidio. Violenza del re Erode, che volentieri ascolta il Battista, ma che non esita a farlo giustiziare per non rendersi ridicolo agli occhi dei convitati e della (inutile e pericolosa) promessa che ha fatto e di cui si è già pentito. Ma, su tutto, su tutti, ricordiamo proprio lui: il più grande fra gli uomini, il Battista. Lo sconfitto, agli occhi del mondo. Il martire, per tutti noi.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 25,1-13)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l'olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l'olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono.
A mezzanotte si alzò un grido: "Ecco lo sposo! Andategli incontro!". Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: "Dateci un po' del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono". Le sagge risposero: "No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene".
Ora, mentre quelle andavano a comprare l'olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: "Signore, signore, aprici!". Ma egli rispose: "In verità io vi dico: non vi conosco".
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Oggi il Vangelo ci presenta questa parabola delle dieci vergini e ci invita a riflettere sulla vita presente. Vivere alla giornata secondo gli eventi e lasciandosi trasportare dalle situazioni ambigue causate personalmente o dagli altri, non è un cammino di gioia e di vera pace interiore.
Più che lasciarsi trasportare dalle situazioni della vita, bisogna stabilire lucidamente e nella preghiera cosa si deve fare ogni giorno.
Le cinque vergine sagge del Vangelo andarono incontro allo sposo con le lampade accese, avevano l'olio della Fede e questo grazie alla loro vigile accortezza. Non vivevano nella dissipazione, non si lasciavano vincere dall'istinto che rende una persona simile ad una bestia.
Nella parabola si intende che andarono incontro a Gesù, Lo incontrarono nella loro vita e ricevettero il premio dei giusti.
Invece le cinque vergini stolte non avevano l'olio della Fede, le loro lampade erano spente per la vita falsata che conducevano. Non comprendevano che Dio vede tutto e anche se si vive nell'indifferenza, sia in questa vita sia nell'aldilà si deve dare conto di tutto!
Quando si rimane senza Fede a causa della vita disordinata e delle bugie che si pronunciano con immediata facilità, come le cinque stolte senza olio per le lampade, la mente segue il suo percorso egoistico, punta direttamente a soddisfare solamente ciò che piace, senza riflettere se giova ed è lecito.
Le cinque vergini stolte rimaste senza Fede rappresentano miliardi di persone di questa società errante, senza una mèta che non sia qualcosa di quantificabile. Molti non credono in Dio e anche lottano la Chiesa per giustificare i loro peccati, ma per loro non lo sono, li considerano come veri valori e non ne possono fare a meno.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 25,14-30)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: "Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque". "Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone".
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: "Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due". "Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone".
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: "Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo".
Il padrone gli rispose: "Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti"». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Da Gesù abbiamo ricevuto in dono molti beni spirituali, noi siamo solo amministratori e non padroni. Dopo averci invitati alla vigilanza, il Signore nel Vangelo ci propone una parabola che è un nuovo richiamo alla responsabilità dinanzi ai doni e alle Grazie ricevute.
Un talento era una antica unità di misura della massa. Era un peso di riferimento per il commercio, nonché una misura di valore pari alla corrispondente quantità di metallo prezioso. Il talento era equivalente pressappoco a cinquanta chili di argento, e si usava per misurare grosse quantità di denaro.
L'uomo consegna ai tre servi una quantità immensa di beni e chiede di farli fruttificare, ognuno ha comunque la libertà di gestire i talenti.
Gesù in questa parabola ci spiega che ognuno di noi è responsabile dei doni ricevuti, non li può sotterrare, non può ignorarli ma li deve conoscere, non deve fare come il terzo servo che per paura di non saperli far fruttare non li utilizzò e sotterrò quello che aveva ricevuto.
Ai tempi di Gesù, il talento equivale a seimila denari e un denaro, nel Vangelo è quanto corrisponde alla paga giornaliera del bracciante.

Come vediamo i beni donati dal padrone ai tre servi furono immensi, anche il servo che ricevette meno beni (un solo talento) ebbe da lui una quantità di denaro ragguardevole. È il primo insegnamento di questa parabola: abbiamo ricevuto beni incalcolabili.
La mancanza di meditazione per la scarsità di tempo disponibile ma anche il disinteresse per la propria vita spirituale, non permette a molti cristiani di conoscere tutti i doni ricevuti dal Signore. Tra gli altri doni ci è stata data la vita, che è il primo regalo di Dio; l'intelligenza per comprendere le verità create e, attraverso di esse, risalire al Creatore.
Ci ha donato la volontà per volere il bene, per amare; la libertà, per la quale ci incamminiamo come figli verso la Casa paterna; il tempo, per servire Dio e dargli gloria; beni materiali, perché siamo strumenti per sostenere le buone opere, a favore della famiglia, della società, dei più bisognosi.
Non riflettere su questi doni e non essere generosi è la manifestazione di un cuore indurito, con la forte preoccupazione del presente e del futuro e si rimane convinti che con il denaro si potranno superare malattie, sofferenze e pericoli.
Tutto questo si supera con la Grazia del Signore, con la protezione della Madonna, occorre però rinascere di nuovo come disse Lui a Nicodemo. La nuova rinascita è spirituale con il cambiamento della mentalità e il distacco dai beni che prima o poi bisognerà lasciare sulla terra.
Fare del bene, aiutare con le donazioni le opere di Dio, è una vittoria sul proprio egoismo, sull'avidità, sulla eccessiva preoccupazione con cui si vive male e la confusione nelle incertezze prevale quasi sempre.
Vi sono due modi di concepire la vita: sentirsi amministratori responsabili verso Dio di far fruttare quanto ricevuto, oppure vivere come se fossimo padroni, curanti solo di dar agio alla nostra comodità, egoismo, o capriccio.
Invece tutto abbiamo ricevuto da Dio, anche i beni materiali grazie al suo aiuto in molte circostanze e non si devono considerare solo frutto delle proprie capacità. Quei doni per arrivare a possedere i beni materiali li ha «regalati» Gesù, Lui si deve ringraziare e come segno di gratitudine si devono aiutare le opere che si compiono nel suo Nome, per farlo conoscere e amare.
Sotterrare il talento che Dio ci ha affidato è aver capacità di amare e non aver amato, poter rendere felici quanti ci stanno accanto e abbandonarli invece nella tristezza e nell'infelicità; significa possedere beni e non utilizzarli per il bene; poter avvicinare altri a Gesù e non farlo, poter contribuire alle opere che danno gloria a Gesù e rimanere inoperosi.
Tutto però si lascia in questa terra e nulla si porta dopo questa vita!